Ci troviamo a Korhogo in Costa d’Avorio; ieri mattina ci siamo recati al villaggio di Koni, che si trova 15 km a nord di Korhogo.
Il villaggio di Koni è conosciuto come il villaggio del fabbri; qui infatti il mastro fabbro Soro Chukama estrae e lavora il ferro, seguendo ancora il procedimento tradizionale, che si è tramandato nei secoli da padre in figlio.
Il procedimento di estrazione del ferro impiega circa 24 ore, quindi eri mattina siamo venuti qui per assistere alla prima parte del procedimento e oggi abbiamo visto la parte conclusiva.
E’ stato molto interessante e Soro e i suoi figli sono molto ospitali, e sono felici di mostrarci la loro arte, di cui sono molto orgogliosi.
Ci hanno spiegato che estraggono il ferro dalla terra, non lontano da qui infatti c’è un luogo dove si trova questa particolare terra molto ricca di ferro, in effetti prendendone in mano una manciata si può constatare quanto sia più pesante della terra comune.
Accostando una calamita alla terra, si capisce subito che contiene ferro, infatti la terra si attacca immediatamente alla calamita.
La prima cosa da fare è bagnare la terra e creare delle palle di sabbia, che vengono fatte essiccare al sole; una volta asciutte sono pronte per il passaggio successivo, sono talmente pesanti che sembrano proprio di ferro anziché di terra.
Il forno che viene utilizzato è realizzato in terracotta, sembra quasi una capanna ma è molto più stretto ed ha un tetto di paglia, a cui è appoggiata una scala di legno.
Alla base del forno sono presenti due buchi dove sono posizionati due sfiatatoi realizzati con la terra cruda; sono molto importanti per l’areazione.
Uno dei figli di Soro sale sulla scala, portando con sé le palle di terra e il carbone, all’interno del forno il fuoco è già acceso; dal buco presente nel tetto inserisce sia le palle di terra sia il carbone creando degli strati: si parte con uno strato di carbone, poi uno di palle di terra, poi carbone, poi ancora terra fino ad inserire 400 palle di terra e, infine, viene tutto ricoperto con il carbone.
A questo punto il forno rimarrà acceso per circa 24 ore, in modo da sciogliere il ferro contenuto nella terra, il ferro liquefatto percolerà sul fondo del forno.
Stamattina siamo tornati qui al villaggio proprio per vedere il risultato della fusione.
Uno dei figli di Soro, con una pala, rompe il muro del forno alla base, dove si trovano i due camini per l’aerazione; estrae i camini e continua a scavare, rimuovendo la terra e la cenere.
Poi, con due rampini di ferro, aggancia e trascina fuori un pezzo informe; a una prima vista sembra un sasso, ma in realtà è il ferro che si è fuso e successivamente si è solidificato alla base del forno.
Dalla fatica che fa nell’estrarlo si intuisce quanto sia pesante; una volta che viene portato all’aperto Soro ci rovescia sopra dell’acqua e una nube di vapore si solleva dal ferro, da qui si capisce che la sua temperatura è elevata nonostante il forno fosse già spento.
Con un martello staccano alcuni pezzi che, una volta raffreddati, vengono messi in un recipiente di pietra.
Il blocco di ferro contiene molte impurità, come parti di sabbia e di carbone, per renderlo puro i piccoli pezzi, contenuti nel recipiente di pietra, vengono pestati con un sasso, fino a polverizzarli.
Una volta ridotti in polvere, vengono trasferiti in una ciotola di legno che viene sbattuta ripetutamente; in questo modo le parti più leggere, ovvero la terra e il carbone, escono facilmente, mentre il ferro, molto più pesante, resta sul fondo della ciotola.
Successivamente, con l’ausilio di una calamita, attirano il ferro, separandolo dagli ultimi residui di impurità che sono rimasti nella ciotola.
A questo punto la polvere di ferro viene trasferita in una piccola ciotola di terracotta e viene portata nella fornace dove, con l’aiuto di due mantici, viene riscaldata finché non raggiunge il punto di fusione.
Ci vogliono ore per fondere completamente il ferro, un duro lavoro per chi aziona il mantice, anche per questo gli altri suonano alcuni strumenti musicali per dargli il ritmo e fargli sentire meno la stanchezza.
Una volta ottenuto il ferro fuso, viene disegnata nella terra la forma che si vuole ottenere, solitamente un triangolo isoscele con la base molto stretta e molto alto; viene versato al suo interno il ferro liquido e lo si lascia raffreddare e solidificare.
Infine, una volta che si è raffreddato, lo si prende con delle pinze apposite, lo si scalda nuovamente nella fornace e lo si batte con dei martelli o pezzi cilindrici di ferro, appoggiandosi su una piccola incudine; una volta ottenuta la forma desiderata il lavoro è finalmente terminato; Soro, a questo punto, incide una piccola “S” sui suoi prodotti, è il suo marchio di fabbrica.
Nella fornace, in un angolo, è presente un piccolo feticcio che protegge il lavoro dei fabbri.
E’ stato molto interessante assistere a tutto il procedimento di estrazione e lavorazione del ferro, Soro ci dice che nella zona ci sono altri villaggi di fabbri, ma non estraggono il ferro dalla terra, ma fondono metalli e rottami; il metodo di lavorazione di Soro e della sua famiglia consente di ottenere un prodotto più di qualità.
Nel cortile del villaggio è presente un banchetto con alcuni oggetti in vendita, sono molto rudimentali, ma è comunque divertente portare a casa qualcosa da qui, dopo aver visto la fatica con cui vengono realizzati.
Soro sembra contento delle nostre domande e gli piace chiacchierare con noi; ci ha mostrato delle vecchie foto di quando ha superato il primo livello dei riti di passaggio dei Senoufo, il Poro, e di quando ha superato l’ultimo dei 3 livelli, quest’ultimo non viene superato da tutti e per lui è motivo di orgoglio.
Compriamo qualche oggetto e lui ci regala una campanella di bronzo, è proprio carina, Soro e la sua famiglia sono molto ospitali; ci ha fatto molto piacere conoscerli e scoprire il loro lavoro.