Popolo di abili cacciatori e raccoglitori, i San hanno affinato nel corso dei secoli le loro tecniche di caccia, che si basano principalmente su una grande conoscenza degli animali da cacciare, sui veleni da utilizzare e su un efficace sistema di segni per comunicare durante l’inseguimento, senza fare rumore.
Grazie alla loro grande abilità sono riusciti a sopravvivere in un ambiente ostile come il deserto del Kalahari, le loro capacità di caccia e di tracciamento sono fenomenali, conoscono le abitudini di tutti gli animali; sono in grado di riconoscere le orme e stabilire l’età, la direzione, il sesso, le condizioni di salute di un esemplare e da quanto tempo è transitato in quella zona.
La caccia assume per i San un valore sacro, gli animali, e la loro interazione con l’uomo, hanno un ruolo significativo nella società dei San; sono i protagonisti di una lotta ancestrale che si combatte ad armi pari, fin dalla notte dei tempi.
I San cacciano con armi semplici ma molto efficaci, l’arma principale è l’arco con frecce avvelenate; ma utilizzano anche bastoni, lance e costruiscono una gran quantità di trappole ingegnose.
Cacciano prevalentemente antilopi, anche se non disdegnano altre prede come lucertole, serpenti, rane e, talvolta, pesci; una battuta di caccia è un’azione di squadra che coinvolge più persone e può durare anche diversi giorni.
Quando identificano una potenziale preda i cacciatori si avvicinano il più possibile, studiando immediatamente la direzione e la forza del vento, gettando una manciata di polvere nell’aria; se il terreno di caccia è aperto, strisciano sulla pancia, mimetizzandosi con piume di struzzo o con pelli di antilope.
Dopo essersi avvicinati alla preda, i cacciatori scoccano le loro frecce avvelenate; le frecce dei San non uccidono immediatamente l’animale, poiché l’effetto del veleno non è immediato e quindi, spesso, i cacciatori devono inseguire l’animale per alcuni giorni; nel caso di piccole antilopi, come il silvicapra (common duiker) e il raficero campestre (steenbok), possono essere sufficienti solo un paio di ore prima che il veleno abbia effetto e causi la morte, ma per antilopi più grandi potrebbero volerci dalle 7 alle 12 ore e per animali ancora più grandi, come la giraffa, potrebbero volerci fino a 3 giorni.
A volte i cacciatori San sono costretti ad inseguire l’animale ferito; i San sono corridori instancabili, possono correre anche per ore e, correndo, è come se si immedesimassero con la loro preda stessa.
Le frecce avvelenate hanno un fusto cavo, in origine senza impennatura, con una parte aguzza che si compone di un pezzo di osso e di una punta avvelenata, solitamente realizzata di osso o di ferro; la punta viene legata a questa parte del fusto utilizzando l’erba che, una volta che la freccia ha colpito l’animale, si stacca e la freccia rimane conficcata nella carne.
Il veleno utilizzato dai San viene ricavato dal succo estratto dalle piante di euphorbia, mischiato con le larve di un piccolo coleottero, viene aggiunto anche il veleno ricavato dai serpenti o dai millepiedi; il veleno viene bollito ripetutamente, fino a quando non assume la consistenza di una gelatina rossa, una volta raffreddato lo si può utilizzare sulla punta delle frecce.
Il veleno è neurotossico, agisce quindi sul sistema nervoso dell’animale, senza però contaminare la carne dell’intero animale; la zona dove la freccia colpisce la preda viene comunque rimossa, mentre il resto della carne è idonea ad essere mangiata.
L’uomo, la cui freccia ha colpito e ucciso l’animale, ha il diritto di distribuire la carne a tutto il gruppo di cacciatori e a coloro che sono rimasti al villaggio ad aspettare il loro ritorno.
Nelle spedizioni di caccia agli animali più grandi, gli uomini consumano una parte dell’animale in campo aperto, non essendo in grado di trasportare la preda fino al villaggio, in passato ad esempio i piedi degli elefanti venivano cotti in buche dove venivano collocate pietre infocate.
Non sempre la caccia è improntata all’inseguimento della preda, molte volte il cacciatore San si apposta all’ingresso delle tane sotterranee scavate dagli oritteropi (Aardvark) o dai facoceri (Warthog), tane che vengono utilizzate anche da altri piccoli animali per sfuggire al sole caldo del giorno, e pazientemente aspetta che l’animale esca dalla sua tana per colpirlo con l’utilizzo di un bastone; altre volte costruiscono trappole in prossimità delle pozze d’acqua dove gli animali si recano per abbeverarsi e costruiscono dei cappi per imprigionare faraone e uccelli.
Prima di intraprendere una grande spedizione di caccia gli uomini si dipingono il corpo, utilizzando la terra rossa, bianca e gialla, come cerimonia propiziatoria; anche le scarificazioni, che consistono in tagli verticali sul viso, servono come un incantesimo per la caccia.
Alcune tribù ritengono che mangiare carne di un animale veloce prima di andare a caccia farà scappare l’animale, dando esito negativo alla caccia; quindi solitamente si cibano di carne di animali lenti; solitamente il cacciatore di gazzelle ed antilopi, non solo non mangia questi animali ma evita anche di toccarli con le mani prima della caccia.
Dopo una caccia fruttuosa e un abbondante pasto, la notte intorno al fuoco si balla animatamente, gli uomini si lanciano perfino frecce avvelenate simulando scene di caccia per poi cadere in estasi per l’eccessivo movimento e per il ritmo incessante della musica.