Nella cultura Samburu, come avviene per altre popolazioni africane, il passaggio da una fase della vita ad un’altra o il cambio di stato civile sono eventi che vengono sempre accompagnati da riti e cerimonie che affondano le loro radici nella tradizione millenaria.
I bambini Samburu, o layeni in lingua Samburu, non hanno un ruolo nella società, l’unico compito che gli viene affidato è quello di condurre al pascolo le capre; solo dopo il rito di iniziazione entrano nella fase di maturità e hanno un ruolo attivo.
Il rito di iniziazione per i Samburu sancisce il passaggio all’età adulta e consiste, come per altri popoli, nella pratica della circoncisione, questa cerimonia avviene intorno ai 15 anni di età.
La pratica prevede che il ragazzo, dopo essere stato rasato e dopo aver indossato dei sandali nuovi, viene coperto da una pelle di pecora sulla quale la madre ha precedentemente cosparso il grasso e la polvere di carbone.
La circoncisione viene praticata davanti alla porta della propria abitazione con l’assistenza di un anziano e, come per i Masai, deve essere affrontata dal ragazzo senza mostrare paura e senza emettere nessun gemito di dolore per mostrare il proprio coraggio.
Dopo la cerimonia il giovane riceve dei regali, del cibo e un arco con le frecce; la madre indossa una collana realizzata con perline bianche e nere che indica che suo figlio, da quel momento, è un moran, o lmorran, ossia un vero guerriero.
Per il periodo necessario alla guarigione il giovane rimane nella capanna della madre; dopo questo periodo, che solitamente dura circa un mese, dovrà uscire dal villaggio e imparare a cacciare gli uccelli con l’arco e le frecce che gli sono state regalate.
Quando i guerrieri moran tornano al campo vengono benedetti dalle proprie madri con una piuma di struzzo imbevuta di latte; si tiene anche una cerimonia durante la quale viene ucciso un bue ed il giovane deve giurare di non mangiare carne in presenza delle donne, da quel momento in poi il giovane inizia a cospargersi il corpo di ocra rossa.
Ogni moran, si sceglie un nuovo nome e viene celebrato un rito per questa fase della vita dei Samburu; la celebrazione prevede il sacrificio di un bue, che viene ucciso per soffocamento: l’animale però non deve cadere a terra, ma deve essere tenuto in piedi dai giovani per i quali la cerimonia viene celebrata, come dimostrazione della loro forza.
L’occupazione principale dei moran è di difendere il bestiame, programmando incursioni presso i villaggi di etnie rivali per rubare il loro bestiame.
Dopo aver trascorso 10 anni della loro vita come guerrieri i ragazzi passano alla fase successiva e diventano ipayan, ossia giovani anziani, in questa fase della vita possono sposarsi e avere figli.
La cerimonia, imugit in lingua locale, che sancisce questo passaggio consiste nel sacrificare un bue che viene mangiato interamente e le sue ossa bruciate; a questo punto il periodo della vita da moran è terminato e questo passaggio viene portato a termine solo dopo che ai giovani vengono tagliati i capelli.
Il matrimonio prevede un elaborato rituale, nella fase iniziale il futuro sposo avvia una trattativa con la famiglia della sposa per avere il consenso al matrimonio.
Lo sposo deve consegnare al futuro suocero otto buoi come pegno, inoltre deve procurarsi dei regali da donare alla sposa; viene date grande importanza alla preparazione dei doni che solitamente consistono in due pelli di capra, due orecchini di rame, un contenitore per il latte e una pecora.
Lo sposo dovrà anche procurare vari capi di bestiame da sacrificare durante la festa del matrimonio.
Il giorno del matrimonio, alle prime luci dell’alba, la tradizione vuole che alla promessa sposa venga praticata una clitoridectomia, ma fortunatamente oggigiorno questa pratica non viene quasi più eseguita.
Lo sposo conduce presso la casa della madre della sposa, quando l’animale viene ucciso il matrimonio è considerato celebrato.
La festa di matrimonio inizia con la divisione della carne del bue mentre gli anziani elargiscono benedizioni deponendo burro sulla sua testa del padre della sposa.
Il giorno successivo la sposa deve lasciare la casa della madre per recarsi nel villaggio del marito, deve percorrere tutto il percorso verso la sua nuova dimora senza mai voltarsi indietro; al suo arrivo due file di anziani benedicono la nuova coppia.
Nella nuova capanna la sposa accende il fuoco, che deve scaturire da due bastoncini sfregati sopra allo sterco di asino essicato: il fuoco non dovrà mai spegnersi finché la nuova famiglia non si trasferirà altrove.
Legata a questo tabù che vieta alla sposa di voltarsi è legata una leggenda Samburu che racconta come una volta gli elefanti fossero esseri umani.
Una volta, racconta la leggenda, una giovane sposa stava per accingersi a lasciare la casa della sua famiglia e il padre le impartiva precise istruzioni su come percorrere il suo percorso specificando il divieto assoluto di voltarsi; ma la ragazza era così triste che non seppe resistere dal dare un’ultima occhiata malinconica alla sua casa dove era cresciuta.
Durante la notte, il dio Nkai, furioso per la disobbedienza della ragazza, decise di punirla: il corpo della giovane iniziò a gonfiarsi e a crescere fino a rompere il tetto della capanna e infine si trasformò in un maestoso elefante.
I Samburu credono che tutti gli elefanti discendano da questa prima ragazza-elefante e credono così che gli elefanti ed il popolo Samburu siano legati dallo stesso sangue.
La credenza popolare vuole che se gli elefanti trovano un uomo morto depongano sulla sua tomba dei fasci di erba o dei rami, alla stessa maniera se un Samburu si imbatte in un teschio di elefante prende un fascio di erba verde, sputa su di esso e lo appoggia all’interno delle cavità del cranio.
Questo è atto di rispetto e di benedizione, l’erba verde è simbolo di pace mentre lo sputo rappresenta la pioggia che in questi territori è considerata un dono divino.
Un altro rito praticato dai Samburu riguarda la fertilità femminile, che è considerata come uno dei massimi valori.
In caso di infertilità lo stregone esegue un rituale di fertilità che prevede di posizionare una figura di fango davanti alla porta della donna che allontani gli spiriti maligni, a questo fa seguito, una settimana più tardi, una festa in cui il marito invita tutto il villaggio, sacrifica un toro il cui grasso viene spalmato sul ventre della moglie mentre recitano la preghiera “Dio ti darà un figlio”.
Una donna senza figli viene derisa dalle persone e viene insultata; inoltre viene gettato sulle pareti della sua capanna lo sterco di vacca.
Anche la morte ha il suo cerimoniale nonostante i Samburu non siano soliti seppellire i loro morti; infatti vengono seppellite sole le persone molto anziane e i bambini prima del primo anno di età.
Gli anziani, una volta morti, vengono rasati e sistemati sulla pelle che usavano per dormire prima di venire sepolti con la faccia rivolta verso la montagna sacra, residenza del loro dio; il luogo di sepoltura scelto non è lontano dal villaggio, la tomba è riconoscibile, in questo modo la gente può identificarla e posarvi un rametto verde in segno di saluto.
I bambini invece vengono sepolti all’interno della capanna dove abitavano vicino al fuoco ed in seguito la capanna viene abbandonata dalla famiglia.
I corpi di tutti coloro che non vengono sepolti vengono abbandonati sul terreno fuori dal villaggio.
La vita, la tradizione e la cultura del popolo Samburu
- L’organizzazione sociale e i villaggi dei Samburu
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- I riti e le cerimonie dei Samburu
- L’allevamento del bestiame e l’alimentazione dei samburu
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