Il popolo Kabyè risiede sui monti dell’Atacora ed, in origine, era principalmente un popolo soprattutto di cacciatori, anche se praticavano anche l’agricoltura; oggigiorno invece sono conosciuti per la loro grande abilità di agricoltori.
Il passato di cacciatori spiega la numerosa presenza di cani oggi tra gli animali domestici, anche se, per motivi mitologici, vengono mantenuti in uno stato semi-selvatico, e questo conferisce una condizione unica.
Sono infatti considerati amici dell’uomo, ma allo stesso tempo sono la causa principale della morte degli uomini, questo li rende in parte animali domestici dall’altra animali selvaggi.
Le eccellenti competenze agricole si svilupparono nel periodo che seguì la fine delle incursioni degli schiavisti, il periodo di pace favorì infatti la cura delle attività produttive.
I Kabyè coltivano cotone, miglio, mais, arachidi, patate dolci, sorgo e manioca su un terreno duro e arido come quello dei massicci montuosi del nord del Togo dove vivono; solo grazie alle loro sofisticate abilità agricole sono stati in grado di coltivare per diversi secoli un terreno che è relativamente sterile e soggetto all’erosione, a causa della mancanza di una copertura protettiva degli alberi.
Durante la colonizzazione tedesca la gente Kabye è stata costretta a lavorare alle infrastrutture del paese, hanno costruito gran parte delle strade e delle ferrovie del Togo.
Nell’economia contemporanea, alcuni Kabye sono lavoratori migranti, una piccola percentuale di questa popolazione infatti vive nelle regioni centrali e meridionali del paese, dove sono impiegati come lavoratori agricoli proprio grazie alle loro conoscenze.
Essenzialmente agricoltori i Kabye allevano anche alcuni capi di bestiame, in particolare piccoli animali e pollame, che vengono per lo più utilizzati per il commercio, la vendita o per scopi sacrificali, mentre raramente vengono consumati dalle famiglie.
Ovini e caprini costituiscono la maggior parte del bestiame, anche se le famiglie più ricche, a volte, allevano capi di bovini.
I Kabye non sono solo stati in grado di valorizzare i terreni di montagna, difficili da lavorare, ma sono anche abili artigiani.
Esiste infatti una lunga tradizione della lavorazione del ferro, una tradizione che affonda le sue radici in tempi antichi, come testimoniano le rovine di alcuni altiforni.
Ancora oggi si può ammirare il lavoro dei fabbri tradizionali, che utilizzano pochi strumenti arcaici, un mantice per alimentare il fuoco, un’incudine costituita da una grossa pietra piatta e grossi e pesanti massi che vengono utilizzati come martello per battere il ferro rovente.
Le officine sono piccole capanne al cui interno, avvolti da un calore intenso, lavorano tre uomini che sincronizzano i loro movimenti per ottenere utensili da vedere alle popolazioni vicine: vengono realizzate pale per scavare e altri attrezzi, campanelle e una sorta di strumento musicale simile ad una nacchera.
La divisione del lavoro nella società Kabyè vede gli uomini svolgere tutte le attività agricole e quelle legate alla lavorazione del ferro, mentre le donne sono impegnate nell’utilizzo dei prodotti agricoli sia per il consumo domestico sia per la vendita presso i mercati.
Anche la vendita dei prodotti in ferro e del bestiame è affidata alle donne.
Le donne Kabyè sono anche delle abili artigiane, lavorano la ceramica e si occupano di tessitura e della realizzazione di prodotti in vimini.
Al mercato locale vendono tutti i prodotti di artigianato, pentole per birra di miglio, cestini in vimini, contenitori in argilla e suppellettili in ceramica.
Le ceramiche tradizionali sono realizzate a mani nude senza utilizzare attrezzi particolari.